I limoni siciliani scompaiono dai supermercati. Da più di due mesi nella nostra regione sono in vendita quelli provenienti dal Sud Africa e dall’Argentina, con costi che hanno raggiunto cifre sorprendenti
Un tempo la Sicilia era la terra dei limoni. Oggi il prodotto viene acquistato dai mercati orientali. Nelle ultime settimane, con enorme sorpresa, i consumatori hanno acquistato i limoni ad un costo spropositato, che in alcuni casi ha raggiunto i 3 € al chilo. Un paradosso per una terra che si è sempre distinta per la produzione di agrumi di qualità.
Ad agosto la produzione regionale si è abbassata sensibilmente, un fenomeno crescente esaminato da Coldiretti Sicilia attraverso un’analisi attenta di cifre e meccanismi. I numeri di un fallimento “annunciato”, se si tiene conto del fatto che nel 2010 i limoneti si estendevano su una superficie di circa 22.400 ettari mentre nel 2015 gli ettari si sono ridotti a 17.800. Coldiretti fotografa una realtà difficile da accettare: nella terra degli agrumi la grande distribuzione vende limoni d’importazione a 3 euro al chilo.
«L’oro giallo di Sicilia era rappresentato da grano e limoni, era apprezzato in tutto il mondo e ci ha reso ricchi – commenta con un filo di amarezza Alessandro Chiarelli, il presidente regionale di Coldiretti – Negli anni 60 e 70 chi possedeva un agrumeto era benestante. In seguito le condizioni sono mutate perché le altre regioni del mondo hanno praticato la coltivazione degli agrumi sfruttando efficacemente la ricerca scientifica. Hanno cioè prodotto dei cloni, realizzando gli agrumi in modo diverso. Le nuove tecniche agronomiche, insieme ai costi più contenuti, hanno reso questi paesi più produttivi».
Oggi la situazione del comparto agrumicolo è disastrosa. Negli ultimi 15 anni, a livello nazionale, si è ridotta del 50% la produzione di limoni, del 31 % degli aranci e del 18 % quella dei mandarini. Con la conseguenza dell’innalzamento del prezzo all’origine dei limoni siciliani e la diffusione dei furti in campagna.
«La Conca d’oro è diventata la Conca di cemento – sottolinea Chiarelli – Siamo penalizzati perché i terreni sono stati abbandonati. C’è una notevole confusione commerciale, e in questo caos i nostri limoni vengono soppiantati da quelli spagnoli o israeliani. E spacciati per siciliani nella vendita al dettaglio. Urge vigilare e sviluppare una modalità sicura che ci consenta di conoscere la tracciabilità e la rintracciabilità del prodotto. A questo proposito è indispensabile che la Regione siciliana ci supporti con un provvedimento di indirizzo che preveda due passaggi fondamentali: l’individuazione delle zone per la nuova coltivazione, le indicazioni per la valorizzazione del prodotto e la trasformazione in filiera. Solo così può essere rilanciato il settore agrumicolo. Gli altri stati vincono perché hanno scelto di applicare efficacemente la scienza agraria, sposandola con una gestione economica più accorta. In sostanza, miglior prezzo e qualità più alta. Va creata una sinergia con le facoltà di Agraria per rivedere il territorio regionale, individuate le zone fortemente vocate e praticato un costo di gestione apprezzabile. Naturalmente – chiude il presidente – bisogna comprare siciliano tutta la vita perché è il prodotto migliore».
Curiosità e pragmatismo le chiavi di lettura dell’assessore regionale all’agricoltura Antonello Cracolici, che raccoglie l’invito del presidente Chiarelli ma non si mostra sorpreso dal fenomeno del caro limoni. «Non è una novità se si tiene conto del fatto che nel palermitano e nel trapanese abbiamo avuto una scarsa quantità di produzione. Abbiamo però avuto anche una rivalutazione del limone coltivato nel siracusano, con una denominazione di marchio di qualità. La dismissione degli agrumeti e l’abbandono dei terreni genera il problema. Noi siamo in un mercato comune e dobbiamo seguirne le regole. Per avere la possibilità di produzioni a marchio devono attivarsi i consorzi di qualità. Per il resto, le aree di coltivazione sono facilmente individuabili perché sono quelle costiere (fascia costiera di Catania, Siracusa, Trapani). Sono d’accordo con il presidente Chiarelli sul rilancio del comparto, però i criteri di azione devono essere finalizzati al gioco del mercato. Un disciplinare produttivo va necessariamente connesso ai marchi dell’UE e la nostra ricchezza – conclude l’assessore – dipende dalla qualità della produzione e dalla capacità di avere varietà di prodotto legate alla stagionalità».