Il ritrovamento del famoso teatro di Akragas, oggetto di ricerca fin dal 500, rappresenterebbe un vero e proprio volano per l’economia che si basa, sostanzialmente, sul turismo
Agrigento. Il 10 settembre scorso, poche ore prima della visita del presidente del consiglio Matteo Renzi ad Agrigento,un articolo in esclusiva del Corriere della Sera annunciava la straordinaria scoperta dell’antico teatro greco di Akragas. La notizia non è mai stata confermata dall’Ente Parco Valle dei Templi e dal suo direttore, Giuseppe Parello. Come stanno veramente le cose?
Un primo dato sicuramente inconfutabile è il ritrovamento di una struttura a pianta semicircolare nella zona sud della città e non a nord come, invece, si è ipotizzato per moltissimi anni. Ma questo non basta per avere le conferma che sia il tanto aspettato teatro greco. Per esserne definitivamente certi bisognerà attendere il prossimo 10 ottobre, data in cui dovrebbero, ed il condizionale è d’obbligo, cominciare gli scavi per riportare alla luce le rovine della struttura. Quel che finora è visibile è una possibile conca e quello che sembrerebbe il primo gradone della cavea. Proprio per questo motivo il profilo mantenuto dall’Ente è stato saggiamente basso non confermando mai ufficialmente la notizia.
Il team che si occuperà degli scavi sarà diretto dal prof. Luigi Calio, dell’Università di Catania che potrà contare anche su un’ampia collaborazione del Parco Archeologico di Agrigento. A coordinare la parte architettonica è Monica Livadiotti, del Politecnico di Bari, una delle realtà più prestigiose nello studio e nella ricerca sull’architettura antica.
La città capisce perfettamente il potenziale che potrebbe riservare una scoperta architettonica del genere. Il ritrovamento del famoso teatro di Akragas, oggetto di ricerca fin dal 500, rappresenterebbe un vero e proprio volano per l’economia che si basa, sostanzialmente, sul turismo. Adesso la parte più difficile. Attendere la prima “tranche” dei lavori, con data di inizio fissata per il 10 ottobre, che comunque non sarà sufficiente per restituire l’intera struttura. I fondi, al momento, sono coperti dall’Unione Europea e da quelli messi a disposizione dallo stesso Ente Parco con un capitolato apposito per la ricerca. Ma questo, ed è la realtà dei fatti, non basta.
di Giuseppe Castaldo