IN ESCLUSIVA per ULTIMA TV, l’ex arbitro internazionale, prende spunto dall’ultimo caso di cronaca. La rinuncia di D’Anna a ricandidarsi per le elezioni di sabato 24 settembre e spiega: «Non giudico la vicenda D’Anna, ma mi limito a osservare che il sistema non è cambiato».
Palazzi di vetro, mail, sotterfugi, prevaricazioni e privilegi. Non è house of cards, ma a leggere le ultime storie e a sentire qualche protagonista del passato, potrebbe essere la sintesi del movimento arbitrale calcistico italiano, nella sua componente “politica”. Un ultimo fatto di cronaca ha alimentato discussioni e pregiudizi: la decisione del componente della Macro regione Sud Rosario D’Anna di ritirare la propria ricandidatura per le elezioni del comitato nazionale Aia (l’Associazione italiana arbitri) che si terranno sabato 24. Alla base della decisione di uno dei dirigenti fra i più vicini a Marcello Nicchi, comunicate allo stesso attuale presidente dell’Aia, c’è una mail anonima probabilmente ricevuta dalla presidenza in cui D’Anna viene accusato (in sintesi) di aver “indirizzato” (con messaggi e mail) i colleghi verso l’elezione di Giuseppe Raciti a presidente dell’Aia di Acireale. D’Anna, dopo aver ritirato la candidatura ha chiarito che ciò gli servirà per tutelarsi da accuse che ritiene infondate. Ma il caso è scoppiato (neppure troppo per la verità, almeno a livello mediatico) e solleva interrogativi sulla gestione delle cariche nel mondo arbitrale. Una storia molto italiana, si direbbe.
Un esperto di questioni arbitrali è Rosario Lo Bello (ex fischietto internazionale ed ex dirigente Aia) che trae spunto dal presente per raccontare quello che, ascoltandolo, sembra un modus operandi della categoria dirigenziale dei direttori di gara.
«Non giudico la vicenda D’Anna, ma mi limito a osservare che il sistema non è cambiato – esordisce così Lo Bello, intervistato da UltimaTv -. Saro D’Anna è un mio amico, preferisco non parlarne. Non dico che è colpevole né che è innocente, dico però che, al di là del caso attuale, su cui ci sarà chi indagherà, certe pratiche non mi stupiscono perché insite nel sistema. Osservo ancora che, dalla prima elezione di Nicchi, saranno stati avvicendati una quindicina di presidenti regionali degli arbitri (CRA) perché “sembra” non sposassero la linea del presidente. Un presidente, ci tengo a ricordare, che col suo comitato di cui D’Anna fa parte, ha rivoluzionato il regolamento dell’Aia, dando la possibilità di avere tre mandati e non due per ogni presidenza e abbassando il quorum per la rielezione. Per essere eletti basta il 55% dei voti e non più il 65%. Del gruppo di dirigenti vicini a Nicchi fa parte anche Alfredo Trentalange».
«Ed ecco che il quadro, almeno per me, torna chiaro – prosegue Lo Bello – ma soprattutto perché sostengo che le cose nel mondo arbitrale non sono mai cambiate. Lo affermo attraverso una storia vera successa a me nel 2006: all’epoca ero osservatore Uefa e ricevo una telefonata di Trentalange che mi invita a essere accomodante con un arbitro polacco, un certo Jacek Granat, che sarei andato a seguire in una partita di coppa in Albania. Trentalange aveva probabilmente la palla di vetro. Sapeva perfettamente che partita avrei seguito e quale arbitro. La telefonata proviene da un numero privato, dunque con numero non visibile, ma io ho vicino un amico e, avendo intuito l’argomento, gli faccio ascoltare la telefonata. Dopo aver chiuso con Trentalange, torno in studio e mando una email denuncia all’allora presidente dell’Aia Tullio Lanese, dove espongo e denuncio i fatti: invio la mail anche al commissario straordinario degli arbitri, Lugi Agnolin. Il tempo passa, nulla succede, e nel frattempo incontro per caso Marcello Cardona (ora questore di Catania, allora procuratore arbitrale), che mi chiede di mandare quella mail direttamente a lui. La pratica viene istruita, del fatto ne parla il corriere della Sera e indovinate a chi mandano gli ispettori dell’Aia? A me. Un amico, interno al sistema, mi avvisa: è tutto organizzato. Quando sono arrivati gli ispettori li ho accolti dicendogli: “Redigete il verbale in fretta che ho da fare, ma vi metterò a disposizione i tabulati telefonici”. Risultato? Trentalange promosso responsabile tecnico dell’Aia, ma anche componente della commissione arbitrale Fifa con incarico per i mondiali in Brasile. Complimenti all’Aia. Io invece mi sono dimesso. Agli ispettori ho detto: sono l’indagato o l’accusatore?».
«All’epoca di questi ultimi fatti, il presidente Aia era Cesare Gussoni. Per darvi l’idea, Gussoni aveva inventato le terne di mobilità. Mentre in tutto il mondo si addestravano le terne con assistenti di ruolo lui la pensava in maniera diversa. Al ritiro arbitrale, quell’anno a Copanello in Calabria, gli assistenti minacciarono lo sciopero. Si trovò un ibrido. Delle 8 partite da disputare, tre erano dirette da terne composte da un arbitro e due guardalinee (allora si chiamavano così), ben 5 da 3 arbitri, con due che dovevano adattarsi al ruolo di assistente. Un’idea naufragata immediatamente, ma partorita senza dubbio da fulgida mente dirigenziale. Gussoni che era stato commissario dopo Agnolin, in seguito alle vicende di calciopoli, nel 2008 fu eletto presidente. Un anno dopo, lasciò il posto a Nicchi e cominciò l’epopea targata dall’attuale presidente. Questa è l’Associazione italiana arbitri e questo è il motivo per cui non ho voluto più farne parte: gli arbitri devono essere liberi, di testa e… di tasca».