CATANIA
«Mi ascolti, scelga il centro dialisi privato “Le Ciminiere”. Qui al Vittorio Emanuele come nelle altre strutture pubbliche il rischio è più alto, ne muoiono tanti». Faceva sempre questo discorso ai suoi pazienti il dirigente medico Elvia Sicurezza. Così dirottava le persone dalla struttura pubblica al centro amministrato da suo marito Salvatore Guarino.
Oltre alla Sicurezza, c’era pure Giorgio Leone dirigente medico del reparto di Nefrologia e Dialisi dell’ospedale Garibaldi. Pedine fondamentali di questo meccanismo di sviamento dei pazienti erano anche gli infermieri che in pieno conflitto di interessi e consapevoli di compiere gesti illegali porgevano il fianco. E sapete in cambio di cosa? Di assunzioni clientelari dei propri familiari, stipendi, consulenze e bonus contrattuali gonfiati e attribuiti a prestanome o parenti. È il caso della convivente di Leone che è stata assunta nel centro Le Ciminiere.
La guardia di Finanza ha avviato le indagini nel 2014, anno in cui è scoppiato a Palermo lo scandalo sulle cliniche di dialisi su cui si era posata l’ombra della mafia e in particolare di Matteo Messina Denaro nella Sicilia occidentale. Si acquistava la proprietà delle cliniche private già accreditate e quindi destinatarie delle risorse pubbliche erogate dall’assessorato alla Salute e così si riciclava denaro sporco. Una soffiata, però, è arrivata anche alle orecchie degli inquirenti della Sicilia orientale. Qualcuno ha parlato ed è iniziata l’indagine.
Si è acceso dunque un faro su questo sistema trasversale della terapia dialitica ma ancora le indagini sono in corso perché potrebbero spuntare i nomi di altri centri in provincia di Catania.
Un meccanismo corruttivo che vedeva al centro le società Diaverum e Le Ciminiere che erano i destinatari “privilegiati” dei pazienti dialitici. Questo faceva si che annualmente ricevessero circa 40 mila euro di contributo pubblico per malato. A ciò si aggiungeva l’acquisizione di quote di mercato che gli garantiva un buon posizionamento.
La Diaverum in particolare faceva parte di un gruppo internazionale molto conosciuto con sedi in 20 nazioni , 9 mila dipendenti, 29 mila pazienti in cura e un volume d’affari di oltre 580 milioni di euro. Messina Denaro che tutti conoscevano solo come Gianfranco Messina puntava ad accaparrarsi centri privati siciliani e ampliarsi, garantendosi un elevato numero di pazienti.
Un giro di soldi e mazzette di cui, forse, erano a conoscenza anche i manager della sede di Milano e non per nulla la Procura di Catania ha chiesto il commissariamento della società.