E’ stata ufficializzata la sentenza per Veronica Panarello: il massimo della pena, 30 anni, con rito abbreviato, per aver ucciso il figlio Loris.
La Procura aveva chiesto 30 anni per la donna accusata di avere strangolato il bambino con una fascetta di plastica nella loro casa di Santa Croce Camerina il 29 novembre del 2014 e di averne poi occultato il cadavere gettandolo in un canalone.
E trent’anni sono stati.
Ma come mai i casi di omicidio a danno dei figli, vanno aumentando?
E i numeri, crescono. Di giorno in giorno. E ci stiamo quasi abituando.
Il primo caso, diventato poi un caso mediatico, il “delitto di Cogne”, avvenuto nel gennaio del 2002, fece tanto scalpore; richiamò polemiche, indignazione, curiosità (partivano i tour per andare a vedere la “villetta dell’orrore”).
La “popolarità” arrivò in seguito alle tante interviste rilasciate (partecipò tra gli altri al talk show Porta a Porta e al Maurizio Costanzo Show) e all’apparente decisione della difesa di utilizzare il mezzo televisivo per ottenere l’appoggio dell’opinione pubblica che, almeno nelle prime fasi del processo che seguì, di fatto si divise fra innocentisti e colpevolisti.
E ora, ci siamo abituati? I due delitti non sono simili, né nelle modalità, né nelle dinamiche giudiziarie.Annamaria Franzoni ha scontato in carcere una pena effettiva di 6 anni (era stata condannata a 16 anni). È ancora ai domiciliari (ha solo 4 ore di libertà) per aver ucciso, in preda a un raptus di follia, il suo piccolo Samuele. Non può tornare a Cogne, non può allontanarsi, non può tornare in quella casa che ha visto tanto orrore.
Per Antonella Panarello, cui l’accusa ha assegnato 30 anni, ma il suo legale vuole fare ricorso, ha compito una serie di azioni, fredde, forse calcolate, che non possono passare oltre ogni più umano limite di accettazione.
Ma siamo disposti ad accettare queste madri che amano i figli in modo un po’ “anomalo”? (passateci il termine).