CATANIA
Un riconoscimento per l’utilizzo del linguaggio artistico come strumento di evoluzione sociale ed economica del territorio. Catania Capitale italiana della cultura?: «Deve emergere la bellezza della città e la sua capacità di fare rete»
Ascoltare ed essere ascoltati è una cosa molto complicata. Lo sanno bene i membri di Officine Culturali, l’associazione catanese che da 7 anni porta avanti l’idea di cultura intesa soprattutto come strumento di coesione sociale. Un impegno che oggi ha regalato una piccola grande soddisfazione, il primo premio per la categoria Cultura del linguaggio artistico. Il riconoscimento è maturato in occasione del terzo appuntamento di Social Innovation Around Award, l’incontro annuale, tenutosi a Napoli, promosso dalla Social Innovation Society e patrocinato dalla Rappresentanza in Italia della Commissione Europea.
«Ci ha intrigato il taglio di questo concorso e abbiamo risposto alla chiamata della SIS – racconta Francesco Mannino, il presidente di Officine Culturali – D’altro canto, l’innovazione sociale attraverso la cultura è il nostro vero obiettivo. Siamo partiti da un semplice ragionamento: la crescita della società non si misura solo in rapporto allo standard economico ma anche ad altri valori valutabili, ad esempio il grado di partecipazione dei cittadini al decision making. Noi abbiamo realizzato la segnaletica interna del Monastero dei Benedettini immettendo un’innovazione di processo, il coinvolgimento di quelle persone che vivono direttamente all’interno di un luogo molto complesso, ovvero gli studenti. La vecchia segnaletica era in condizioni disastrose, vandalizzata. Noi abbiamo coinvolto i ragazzi raccontando al contempo il patrimonio culturale. Il risultato è che, dopo la sua realizzazione avvenuta nell’estate del 2015, nessun pannello è stato toccato. La segnaletica è ancora nuova e bella. È prevalso il senso di appartenenza».
La motivazione che ha condotto al riconoscimento attribuito ad Officine Culturali è aver realizzato un progetto di partecipazione all’interno della propria comunità, coniugando l’ascolto e la progettazione diretta di percorsi di conoscenza dei contesti abitativi, che acquisiscono valore di innovazione sociale. Proprio quei «processi nuovi che creano relazioni – spiega Mannino – perché innovazione sociale vuol dire arrivare ai prodotti attraverso il coinvolgimento, sfruttando creatività e capacità degli attori principali».
Tradotto in soldoni è un’opportunità per la comunità di conoscere meglio se stessa e di essere davvero protagonista, applicando la parola cultura in chiave molto più “terrena” e alla portata di tutti. Spesso è usata per indicare una condizione intellettuale velatamente snob, ad uso e consumo di un ristretto gruppo, che nei fatti non trova poi riscontro.
«Il modello culturale non è un totem e noi siamo solo operatori – prosegue il presidente di Officine – Il monastero dei Benedettini è il luogo delle emozioni e raccontarlo adeguatamente vuol dire narrare 2000 anni di storia di Catania fatta anche di conflitti: l’uomo contro la lava, l’uomo contro il terremoto, l’uomo contro l’uomo come nel caso dell’esproprio del Monastero».
Il tentativo di trovare nuove modalità per dare “voce” ai beni culturali si coniuga perfettamente con l’idea di candidare Catania a Capitale Italiana della Cultura per il 2020. Una proposta lanciata lo scorso maggio nel meeting Facciamo Centro e raccolta dall’amministrazione comunale. Nelle ultime settimane gli incontri si sono fatti più frequenti tra il partenariato protagonista dell’evento e i vertici del comune di Catania, e tutto lascia presagire che si possa realmente proporre la candidatura. A quel meeting era presente anche Ciccio Mannino che ha un’idea ben precisa di come Catania possa presentarsi all’appuntamento e sfruttare l’opportunità.
«Non basta fare il dossier, bisogna poi realizzare quello che c’è dentro – sottolinea – Credo che Catania possa e debba candidarsi, ma come deve costruire questa candidatura? Questo progetto non può crescere solo tra i cittadini attivi, i gruppi intellettuali e l’amministrazione, rischieremmo di perdere una grande occasione. Dobbiamo fare in modo che emerga la bellezza della città con al centro la sua capacità di creare rete. Vuol dire relazioni tra centro e periferia, comunicazione fatta nelle scuole e sondaggio tra gli studenti su cosa intendono per capitale della cultura. Andrei da tutti gli operatori, sia laici che religiosi, per chiedere loro di cosa hanno bisogno. La candidatura deve sottintendere un sistema globale, non solo il centro storico, con l’intervento delle comunità di riferimento. Ma soprattutto, non va trattato come un tema di solo turismo culturale».