CATANIA
Un laboratorio fototerapeutico ha visto coinvolte alcune pazienti con tumore al seno, che hanno avuto modo di esprimersi durante il loro percorso di cura. Ne è un nato un libro molto suggestivo.
Raccontare la propria esperienza e il proprio cammino attraverso la fototerapia. È stato questo lo scopo di “Io non muoio”, un percorso che ha utilizzato lo strumento fotografico con finalità terapeutiche, raccontando attraverso le immagini la lotta delle pazienti contro il tumore al seno. Il libro nato da questa intensa esperienza è stato presentato ieri al 4Spa Resort di Catania.
Sono state esposte le foto delle pazienti che hanno partecipato al progetto. Tutto il ricavato della vendita del libro verrà devoluto alla Fondazione Humanitas per la Ricerca. Il progetto è stato promosso e condotto dalla Dott.ssa Antonella Cunsolo, Psicologa, Psicoterapeuta, Fotografa e Presidente dell’associazione Art’è Benessere di Catania, in collaborazione con Humanitas Centro Catanese di Oncologia. Ad affiancarla, la Dott.ssa Maria Muratore, infermiera dell’ospedale; e Alessandro Musumeci, socio dell’associazione. Alla presentazione hanno partecipato la dott.ssa Annunziata Sciacca, Direttore Sanitario di Humanitas Catania; e il dott. Francesco Caruso, Direttore del Dipartimento Oncologico.
Il laboratorio, partito lo scorso anno e che dunque ha visto ieri la sua conclusione con la mostra e presentazione del libro, è stato suddiviso in tre fasi principali: la prima, attraverso l’uso di fotografie inizialmente proposte dalla Dott.ssa Cunsolo e successivamente portate dalle pazienti, ha favorito la narrazione delle storie personali e la condivisione dei vissuti relativi all’evento traumatico. La seconda fase è stata caratterizzata da sessioni fotografiche durante le quali le pazienti hanno avuto modo di farsi ritrarre seguendo il progetto fotografico formulato da ciascuna di loro e in accordo col messaggio e le emozioni che premeva loro esprimere e trasmettere attraverso la loro immagine. La terza fase è stata è stata dedicata alla selezione dei ritratti realizzati, con particolare attenzione ai relativi vissuti suscitati da ciascuna delle immagini e alla condivisione delle rispettive testimonianze e dei feedback su ciò che per loro ha significato far parte di questo progetto.
Un percorso dunque intenso che ha visto le partecipanti emotivamente molto coinvolte: «Partendo da e attraverso le immagini – racconta la Dott.ssa Antonella Cunsolo – le pazienti hanno avuto, da subito, la possibilità e l’urgenza di raccontarsi e condividere le proprie emozioni con chi stava vivendo la stessa condizione, qualcosa che, a detta loro, non ha prezzo. L’espressione dei vissuti suscitati dalle fotografie scelte e portate dalle pazienti ha favorito il processo di elaborazione dell’evento traumatico stesso. Avere avuto, infatti, a disposizione uno spazio mentale e fisico, mediato dallo strumento fotografico, ha permesso loro di concedersi anche un momento di cedimento, di poter esprimere paure, preoccupazioni senza alcun freno. Tutto ciò ha inoltre favorito la creazione di forti legami e relazioni di mutuo-aiuto tra le pazienti, che ancora oggi costituiscono importante risorsa in più per ciascuna di loro per affrontare il proprio percorso clinico. L’utilizzo del mezzo fotografico e delle tecniche di fototerapia, così come ci insegna Judy Weiser, ha permesso di raggiungere in tempi molto brevi dei risultati sorprendenti».
Il gruppo di lavoro ha dimostrato grande entusiasmo e partecipazione, avendo avuto l’occasione di lavorare anche sull’immagine di sé delle pazienti, messa a dura prova dalla malattia. Le immagini hanno volutamente messo in risalto non i segni visibili sulla pelle, riconducibili agli interventi chirurgici, ma soprattutto una bellezza e una fierezza che nessuna cicatrice potrà mai oscurare.
Infine, ma non ultimo come importanza, comune si è rivelato il forte desiderio espresso da tutte loro di poter trasmettere ad altri un messaggio positivo e di fiducia: «All’inizio eravamo delle perfette sconosciute riunite attorno ad un tavolo – racconta Daniela, paziente che ha preso parte al progetto – e solo più avanti ho capito di cosa si trattasse realmente. Non erano semplici foto quelle che avremmo dovuto fare; infatti attraverso un processo di condivisione e di confronto sono nate delle immagini che ci rappresentano, che dicono qualcosa di noi, che scavano le parti più intime del nostro cuore, che fanno venir fuori quello che abbiamo passato, il nostro dolore, la nostra voglia di combattere e la nostra vittoria. Ciascuna di noi, ha raccontato la propria esperienza, e, da perfette sconosciute, siamo diventate in brevissimo tempo un gruppo unito e compatto. Nel far venire fuori ciò che avevamo dentro abbiamo curato, almeno in parte, alcune ferite che la malattia aveva lasciato aperte».