PALERMO
Certe macchie non possono essere rimosse. Neanche a distanza di 16 anni. Erano periodi in cui di sangue ne scorreva troppo. Lo sapevano Antonio Failla e Francesco Giambanco, vittime di “lupare bianche” il 26 aprile 1999 e il 16 dicembre del 2000. Quel tipo di omicidi di matrice mafiosa che, oltre a togliere la vita, negano anche la possibilità alle famiglie di piangere il proprio caro, sepolto o peggio ancora gettato chissà dove. Ma Antonio e Francesco, nonostante non fossero proprio dei bravi ragazzi, non sono stati dimenticati né dalla comunità di Carini né dalle forze dell’ordine. E proprio a distanza di anni i carabinieri del Nucleo investigativo di Palermo hanno fermato tre persone ritenute affiliate alla famiglia mafiosa del paese.
Si tratta di Giovan Battista Pipitone, Salvatore Castaldo, entrambi di 67 anni, e Antonino Di Maggio di 62. Un altro uomo Ferdinando Gallina di 39 anni è tutt’ora ricercato. Gli indagati sono tutti ritenuti responsabili di quegli orrendi omicidi. Un ruolo decisivo nelle indagine lo hanno rappresentato le recenti testimonianze del neo collaboratore di giustizia Antonino Pipitone, uomo d’onore della famiglia mafiosa di Carini, condannato all’ergastolo per l’omicidio di Giuseppe D’Angelo, oltre a quelle del pentito Gaspare Pulizzi.
Un po’ di luce su delle pagine davvero buie della nostra storia.