MESSINA
E’ giunta stasera la sentenza del secondo troncone del processo scaturito dall’operazione Corsi d’oro, riguardante una gestione illecita della formazione.
Per l’imputato d’eccellenza, l’onorevole Francantonio Genovese, la Corte della Prima sezione penale del Tribunale di Messina, presieduta da Silvana Grasso, ha deciso una pena di 11 anni confermando la richiesta dell’accusa, ma aumentando la multa di 5mila euro, per una somma equivalente a 20mila euro. Per lui anche l’interdizione ai pubblici uffici per tutta la durata della pena.
In tutto 20 le condanne e tre assoluzioni. Alla sbarra c’era pure il deputato regionale Franco Rinaldi, cognato di Genovese, che ha ottenuto 2 anni e 6 mesi (erano stati chiesti 5 anni e 6 mesi); 3 anni per Chiara Schirò, moglie di Genovese; 6 anni e 6 mesi per Elena Schirò, moglie di Rinaldi e sorella di Chiara; ad un’altra delle sorelle Schirò, Giovanna, 2 anni e 3 mesi; all’ex assessore comunale ed ex presidente dell’ente Aram, Elio Sauta, 6 anni e 6 mesi; per Graziella Feliciotto, moglie di Sauta 4 anni e mezzo; al commercialista Stefano Galletti 3 anni e 6 mesi; 2 anni con pena sospesa per Salvatore La Macchia, ex capo di Gabinetto dell’Assessorato Regionale alla Formazione; a Melino Capone, ex consigliere provinciale allora An e responsabile Ancol 3 anni; per il fratello di quest’ultimo, Natale Capone, responsabile anch’egli dell’Ancol 3 anni; a Cettina Cannavò, ex segretaria di Genovese ed ex tesoriera del Pd, 2 anni con pena sospesa; a Natale Lo Presti 3 Anni; a Roberto Giunta 5 anni e 6 mesi e 9mila euro di multa; per Giuseppina Pozzi, 2 anni e mezzo; a Liliana Imbesi 1 anno e 4 mesi; a Orazio De Gregorio 2 anni e mezzo; a Domenico Fazio 1 anno e 3 mesi; ad Antonino Di Lorenzo 1 anno e 4 mesi; a Carmelo Favazzo 3 anni e 3 mesi.
Assolti per non aver commesso il fatto Paola Piraino, Francesco Buda, Salvatore Natoli.
I capi d’accusa andavano dall’associazione a delinquere finalizzata alla truffa, alla tentata truffa, al peculato, il riciclaggio, il falso in bilancio e l’evasione fiscale.
Il procedimento era incentrato sugli affari delle società riconducibili all’onorevole Genovese e ai collegamenti con i corsi di formazione Aram, Ancol e Lumen, gestiti dalle persone a lui vicine.
Sotto la lente d’ingrandimento della Guardia di Finanza nel luglio 2013 era finito un giro di fatture gonfiate fino al 600%, con spese ingigantite per forniture, affitti o acquisto di immobili, al fine di ottenere più cospicui finanziamenti per la formazione, attraverso i fondi regionali, statali ed europei.
Arrestato nel marzo 2014, il 15 maggio 2014 la Camera dei Deputati votò per la reclusione dell’onorevole Genovese, eletto nel partito Democratico, che si costituì in carcere, dove vi restò per poco, ottenendo i domiciliari. Otto mesi dopo si riaprirono per lui i cancelli della casa circondariale di Gazzi, tornando i nuovamente ai domiciliari fino al 27 novembre 2015, ottenendo l’obbligo di dimora in attesa della sentenza di oggi.
Nel frattempo, fuori uscito dal Pd, Genovese col suo nutrito seguito era transitato a Forza Italia.
24 gennaio 2017