Avrebbero garantito assistenza legale e promesse di ricorso contro Fisco e banche, senza tuttavia far seguire a ciò nessuna azione giudiziaria. Sono quattro le persone poste agli arresti domiciliari: Vincenzo Vanaria, 58 anni, un ex avvocato del Foro di Messina radiato da 14 anni, due avvocati catanesi, Cinzia Pavano 48 anni, Domenico Risiglione, 60 anni e Carmelo Paterini, 56 anni, un procacciatore di affari accusati di associazione per delinquere finalizzata alla truffa. L’associazione criminale – secondo quanto sarebbe emerso – garantiva la possibilità di ridurre il debito o la restituzione di gran parte dei soldi fino allora corrisposti dai debitori in vista di una presunta condanna della banca per anatocismo e per applicazione di tassi usurari.
Dalle indagini risulterebbe che a capo della banda vi era Vanaria che dava agli altri le direttive da seguire. Paterini svolgeva il compito di ricerca della clientela, attirata tramite l’associazione di tutela dei consumatori “Feo- Progetto benessere” che vantava avvocati specialisti in materia. Tavano e Risiglione ricevevano da Vanaria i mandati per intentare le cause.
Gli inquirenti parlano di truffe seriali. I clienti ideali erano persone indebitate con l’Erario o nel pagamento di mutui e altre incombenze rateali. Le vittime avrebbero firmato dinanzi a Vanaria dei mandati con cui venivano poi conferiti gli incarichi ai due. A distanza di molti mesi, quando i clienti chiedevano conto a Vanaria delle azioni legali e delle somme già versate, gli avvocati Tavano e Risiglione, che fino ad allora non avevano intrattenuto alcun rapporto diretto coi loro assistiti, sistematicamente rinunziavano ai mandati. Vanaria, per rabbonire le vittime, prometteva loro la restituzione delle somme corrisposte chiedendo le coordinate bancarie e dimostrando disponibilità alla restituzione del denaro senza mai in realtà farlo. Solo in piccola parte le somme anticipate venivano impiegate per versare i contributi unificati. I casi accertati finora sono stati 15 e la banda avrebbe guadagnato circa 100mila euro. Le poche attività effettivamente messe in atto dagli indagati sono consistite nello stilare degli atti di citazione senza poi iscrivere le cause a ruolo: le azioni legali restavano abbandonate, generando ulteriore danno agli assistiti.
19, febbraio, 2018