CATANIA
Vive a Milano da 20 anni e ha fondato una Farm internazionale di musica. Tutto è nato per gioco e oggi è un prestigioso studio di produzione e registrazione
«Quando vivevo a Catania suonavo la chitarra e ascoltavo il rock, compreso il filone etneo di quegli anni. Ricordo di aver incrociato Checco Virlinzi e la sua band (Sansone e i FilisDei) in una serata all’Empire. Io ero lì col mio gruppo, gli Ex Out, e già parlare con lui mi sembrava un sogno (per i ragazzi di quel tempo era come incontrare Prince). Non avrei mai potuto immaginare di avere, 20 anni dopo, uno studio di registrazione a Milano che ospita i musicisti più importanti del mondo».
Ivo Grasso appartiene a quella generazione di catanesi che vive la musica come un fatto genetico, ereditato sin dall’adolescenza attraverso la frequentazione di pub e discoteche nei pomeriggi rock-time. Un gene trasmesso, forse, per semplice questione di humus. Oggi, a distanza di 20 anni, è il fondatore dei Massive Arts Studios, uno dei più prestigiosi studi di registrazione e produzione di Milano. Una Farm internazionale di 1000 metri quadri nella zona dei Navigli, composta di 2 studi di registrazione, 6 sale prova, uno studio mastering e una grande sala di allestimenti per tournée, creata apposta per ospitare le prove degli spettacoli.
«È una struttura che condivido con altri 2 soci – spiega il producer catanese che ricopre il ruolo di studio manager – Da noi transitano ogni settimana tra i 1000 e i 1500 musicisti. È una cittadella della musica, il crocevia di artisti e addetti ai lavori. Puoi tranquillamente incontrare Biagio Antonacci, Fedez, Giuliano Palma, Elio delle storie tese, giusto per citare qualche nome, che missano il loro disco o provano i pezzi. Per poi ritrovarli nella living zone, uno spazio lounge per rilassarsi e scambiare qualche battuta. Di recente sono passati Malika Ayane, Eugenio Finardi e gli Skunk Anansie».
Nelle previsioni iniziali il trasferimento a Milano era dettato dall’obiettivo della laurea in giurisprudenza. «Nella metà degli anni 80′ Milano non era così aperta, specie con noi meridionali – sottolinea Ivo – oggi è una città multietnica che ci vede perfettamente integrati e al vertice dei sistemi dirigenziali. Ci siamo imposti, dimostrando abnegazione e capacità. Io ho cominciato per caso, frequentando discografici e produttori (giocavamo a tennis). Un giorno Tino Silvestri, il direttore di Warner Music Italia, dopo aver ascoltato le cassette che missavo nel tempo libero, mi sottopose un contratto come produttore di una band di r’n’b (i RapsodyZ). E da quel momento comincia la mia carriera. Facevamo la rivisitazione di cover e abbiamo lanciato una versione ri-arrangiata di All Night Long di Lionel Richie (a dire il vero non ha avuto molto successo – ndr risata fragorosa)».
Il fondatore dei Massive Arts Studios non sapeva cosa sarebbe poi diventata quella passione praticata con la chitarra e, in seguito, con i primi sequencer, utili per creare suoni e campionature e riadattare pezzi conosciuti. Oggi la musica appartiene a tutti, rivoluzionata dalla tecnologia galoppante. Un mercato in continua evoluzione nei confronti del quale bisogna sempre adeguarsi. Ivo però conserva intatta la memoria di quei giorni in cui suonava con la sua band a Catania, ripercorrendo le orme di Feelies, Rem e Dirty Looks. Le hits delle serate di tante generazioni di catanesi, mai tramontate.
«Vivo come tutti i siciliani all’estero – scherza – perché in effetti Milano è estero. Catania mi è rimasta nel sangue, la amo, anche se in modo controverso. Giro molto per lavoro, osservo le altre realtà e mi accorgo degli errori che non commettono rispetto a noi. Sfruttano al massimo le poche risorse a disposizione. Ho visto posti sopravvalutati ma valorizzati in modo incredibile per un efficace lavoro di marketing. Noi abbiamo bellezze naturali e patrimonio artistico – culturale ma, probabilmente, il nostro limite è l’eccesso di protezione. Abbiamo una cosa preziosa ma la “ammucciamo”. Sembra paradossale, ma per il siciliano la sua terra è così bella che deve essere solo sua. Della serie, mi basta averla ma non voglio valorizzarla. Quel protezionismo fatto per il troppo amore».