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La morte di Tony Drago e quel tentativo di insabbiare le indagini… – Ultima TV


SIRACUSA

«A distanza di tre anni, non ho timore a dire che c’è stato un tentativo di insabbiamento delle indagini – afferma Dario Riccioli, legale della famiglia Drago – Il rinvenimento della sedia sotto il davanzale, il mozzicone di sigaretta della stessa marca di quelle che utilizzava Tony Drago erano evidentemente dei segni messi lì per sviare le indagini e far credere che il ragazzo si fosse suicidato».

Giustizia, solo sete di giustizia. Una famiglia distrutta quella di Tony Drago, il militare ventiquattrenne di Siracusa morto il sei luglio del 2014 a Roma. Era arruolato nello Squadrone d’Onore Lancieri di Montebello. E lì nel piazzale della caserma Sabatini il suo corpo è stato trovato privo di vita.

«La modalità che ha portato alla morte di Tony Drago – continua l’avvocato Riccioli – è tipica di un atto di nonnismo. Secondo l’unica ipotesi formulata, il ragazzo si era certamente nel piazzale nel quale è stato ritrovato, vessato da qualcuno che lo stava obbligando a fare delle flessioni. Improvvisamente è stato colpito prima alla schiena e poi ucciso con una superficie larga e piana con dei colpi sulla testa. Tony è stato ucciso».

A maggio il ventiquattrenne era stato picchiato da due commilitoni e di questo ne aveva parlato con un amico di famiglia, militare anche lui, chiedendogli di intercedere affinché venisse trasferito. Ma non ha fatto in tempo. Il ragazzo sarebbe stato ucciso in quella caserma e non si sarebbe suicidato come si è tentato di far credere in un primo momento chiedendo l’archiaviazione del caso. Oggi è tutto nuovamente in discussione con una consapevolezza: ci si trova davanti a un omicidio volontario. E nelle indagini ciò che non ha convinto è stata la distanza fra la finestra dalla quale si sarebbe suicidato Drago e il punto di impatto col suolo.

«Ci siamo domandati come riprodurre la simulazione per portarla a processo. E l’unico posto dove era possibile effettuare questa riproduzione era una piscina – conclude Riccioli – Abbiamo chiesto l’autorizzazione che ci è stata data dal Comune di Catania, abbiamo trovato un tuffatore professionista che effettuasse il tuffo e siamo riusciti a dimostrare che quel lancio era impossibile che venisse effettuato a quelle distanze».

Lesioni alla schiena, ferite alla testa, fratture alle vertebre e alle costole. Adesso è caccia ai colpevoli e la madre di Tony vuole solo la verità. «La madre in una prima fase delle indagini ha lottato come una leonessa in gabbia perché tutti le raccontavano la storiella che il figlio si era suicidato perché depresso per motivi sentimentali. Lei non ha mai creduto a questa ricostruzione e oggi la verità è venuta a galla. Sono convinto – incalza il legale – che riusciremo a costruire un processo non solo per omicidio colposo ma anche per omicidio volontario».



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